Due chiacchiere con Sergio Leoni
Un viaggio affascinante alla scoperta di un’azienda unica
Basta guardarle per capire che le stufe di Sergio Leoni hanno una storia da raccontare. Sentirne il calore, ammirarne il fascino, i colori e la fattura artigianale, scoprire che il loro disegno è rimasto inalterato da cinquant’anni. Ma se avete la fortuna di fare una visita a San Polo d’Enza e incontrare Sergio di persona, non potrete fare a meno di innamorarvi di questa piccola, eroica azienda italiana.
Lei ha fondato la sua azienda nel 1961. Ci racconta come ha cominciato?
La mia non è stata una vita facile. Figlio unico di madre vedova, ho dovuto fin da giovanissimo soffocare ogni velleità artistica in un mestiere che portasse a casa il pane: il muratore. Il colpo di fulmine è nato mentre lavoravo con uno studio di architetti, a Parma. Avevano anche un laboratorio artigiano di ceramica, un materiale che mi ha da subito affascinato, perché è versatile, duttile, multiforme. Mi ero reso conto che quello che riuscivo a disegnare con estrema facilità sulla carta poteva tradursi in oggetti di ceramica dalle infinite forme e varianti.
Da dove è nata l’idea delle stufe in ceramica?
Ho iniziato realizzando oggettistica, lampadari e rivestimenti in ceramica per caminetti. Proprio installando i caminetti ascoltavo le chiacchiere dei clienti. I focolari aperti erano belli, sicuramente, ma non scaldavano abbastanza nelle lunghe giornate invernali. Bisognava sedersi proprio accanto al fuoco per sentirne il tepore.
Si sentiva parlare delle stufe a legna in ceramica, le cosiddette Kachelofen, che pareva fossero molto più efficaci. Ma erano una prerogativa dei paesi nordici e nessuno aveva mai pensato di proporle qui da noi. Ci ho pensato io, realizzando i primi modelli con disegni totalmente originali, che non avevano nulla a che fare con gli esempi tirolesi.
Presentai le prime stufe alla Fiera dell'Artigianato di Firenze. Erano gli anni Sessanta.
Fu un successo assolutamente imprevedibile.
Mi chiamavano da Milano, dalla Francia, dalla Germania e mi chiedevano: "Possiamo venire a vedere lo stabilimento?". Ma lo stabilimento ero io!
Matilde di Canossa
Oggi lavora ancora nel suo laboratorio? L’affianca qualcuno di famiglia?
Il laboratorio è casa mia e anche oggi che ho più di ottant'anni mi piace venirci, ogni tanto. I miei figli, Matteo e Chiara, hanno preso in mano l'azienda. Matteo si occupa della produzione e delle vendite, Chiara dell'amministrazione. Nel tempo, ci siamo circondati di una bella squadra di persone che amano questo mestiere quanto noi e realizzano ogni prodotto esattamente come farei io.
Cosa l’affascina di questo mestiere, del modellare con la ceramica?
La duttilità, la versatilità della ceramica rappresenta un po' la vita stessa: se uno è in grado di darle la direzione giusta, la vita si modella di conseguenza. Appena entrati in fabbrica, c'è una statua di Padre Pio che ho realizzato con le mie mani. L'incontro con il Santo di Pietralcina è stato per me fondamentale. Mi ha dato quella direzione di cui avevo bisogno. Lui mi ha "modellato" e io ho fatto lo stesso con la mia vita... e con le mie stufe.
Viennese
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